Esistono cose comuni a tutti i popoli, cose che uniscono oltre i confini, oltre le bandiere, oltre la paura e lo sport è sicuramente una di queste. Qualunque bambino può sognare di essere un campione, di giocare in nazionale, di guadagnarsi con sudore e fatica il tanto agognato trofeo, a prescindere da dove egli si trovi e quale sport gli piaccia: tutti abbiamo i nostri sogni, perchè sognare è un diritto di tutti.
Purtroppo però le opportunità non sono uguali per tutti nel mondo.
A Damasco, in Siria, due giovani nuotatrici sognano le olimpiadi. Si chiamano Sarah e Yusra Madrini, classe 1995 e 1998, ed a discapito di guerra civile e bombe vanno costantemente ad allenarsi nella piscina con il tetto bombardato, congedandosi da casa ogni volta sapendo che potrebbe essere l’ultima. Nel 2015 la madre porge a Sarah uno zaino e le dice di riempirlo con quel che vuole portare con sé, perché lei e sua sorella avrebbero lasciato il paese.
Accompagnate da un cugino del padre prendono un aereo da Damasco ad Istanbul e da lì chiamano un trafficante/scafista dicendo di voler andare in Grecia. Arrivano a Smirne, sulla costa del mar Egeo. Quel giorno d’agosto, in piedi sulla riva venti persone guardavano con disperazione l’imbarcazione che avrebbe dovuto portarli in Europa: è un gommone da sette posti. Una volta in mare, non passano 15 minuti che il natante comincia ad imbarcare acqua; sta arrivando la sera, il sole si prepara a tuffarsi oltre l’orizzonte delle onde, e gli uomini del gommone si tuffano per alleggerire l’imbarcazione e sostenerla. Le due sorelle sono nuotatrici professioniste, e Sarah pensa “sono una bagnina, non posso lasciare morire mia sorella e queste persone in mare!” e si tuffa in acqua. Yusra, essendo anch’essa una nuotatrice professionista all’età di 17 anni, e nonostante le furenti proteste della sorella, si lancia in acqua ed insieme iniziano a trainare il gommone: “se puoi farlo tu posso farlo anche io” dice Yusra.
Nella vita capita di fare scelte il cui prezzo e le cui conseguenze non sono valutabili in anticipo, così come capitano scelte da compiere a prescindere dal prezzo da pagare.
Dopo aver nuotato per 3 ore e mezza tra le onde alte del tramonto e della sera arrivano sulla spiaggia di Lesbo, senza nessuno ferito o morto. Il prezzo che Sarah ha però pagato per questo gesto eroico è stato il suo sogno: si è infortunata permanentemente la spalla e la sua carriera di nuotatrice professionista è semplicemente finita per sempre. Il sogno che l’ha spinta nella fuga dalla sua patria è ora distrutto.
Finalmente le sorelle Mardini riescono a raggiungere la loro meta: Berlino. Negli 8 mesi che passano nel campo Yusra riprende a nuotare in piscina, inseguendo bracciata dopo bracciata il sogno che ora è solo sulle sue spalle, e grazie al supporto delle persone che l’hanno accolta in Germania viene selezionata per far parte di una nuovissima squadra olimpica, quella degli Atleti Olimpici Rifugiati, stupenda iniziativa organizzata dal Comitato Olimpico Internazionale per portare attenzione sulla crisi globale dei rifugiati. Intanto il resto della famiglia si riunisce a Berlino, ottenendo lo status di rifugiati.
Il sogno di Yusra diventa realtà nell’agosto 2016 durante la XXXI Olimpiade a Rio de Janeiro.
Per Sarah invece le cose andranno diversamente: diventa infatti la prima donna rifugiata a ritornare al campo profughi di Lesbo, dove è stata accolta per la prima volta. Là scopre che il terapeuta del campo raccontava le gesta eroiche di lei e Yusra per riaccendere la speranza nel cuore dei bambini, decide allora di unirsi alla squadra di volontari di Emergency Response che presidiano la spiaggia di Lesbo per accogliere e salvare i profughi in arrivo dal mare. Un impegno durato più di due anni, in cui Sarah fa da traduttore, consegna acqua e coperte, fa partire una raccolta fondi in cui riesce a raccogliere 20000 euro per acquistare delle lavatrici per il campo di Mitilene. Lei e la sua squadra aiutano centinaia di persone e Sarah trova in quest’opera il suo nuovo scopo, il suo nuovo sogno.
Le autorità greche però vedono l’opera umanitaria di queste persone come un incentivo per l’immigrazione clandestina e così accusano Sarah e gli altri volontari di spionaggio, appartenenza ad un’organizzazione criminale, traffico di esseri umani e frode: Sarah viene arrestata e trascorre dapprima 7 giorni nella prigione Korydallos di Lesbo, in una cella di 3×3 senza bagno, ed in seguito 100 giorni nel carcere di Atene. Human Rights Watch e Amnesty accusano il governo greco di criminalizzare l’aiuto umanitario, la storia di Sarah diventa virale, partono petizioni per la liberazione sua e degli altri operatori umanitari condannati, in un coro potente e roboante che attraversa e scuote attraverso il web il mondo intero. Sarah esce su cauzione in attesa del processo che, come una spada di Damocle, tiene sospesa sulla sua testa una condanna a 25 anni di carcere. Ritorna a Berlino e si iscrive alla facoltà di studi sociali, dove trova sostegno nell’ateneo e negli studenti, pronti ad ergersi al suo fianco al grido di “Humanity is not a crime”.
Questa ragazza, oggi 26enne, ha resistito alla guerra, alle bombe, alla fuga dal suo paese ma dopo l’esperienza del carcere perde il controllo di sé stessa e le vengono diagnosticate sindrome da Stress Post Traumatico (PTSD) e depressione. È deprimente, infatti, che in seguito a queste condanne ora sulla spiaggia di Lesbo non ci sia più nessuno pronto ad aiutare i profughi in fuga, in questo il governo greco l’ha avuta vinta, ed i morti in mare nella zona sono aumentati terribilmente. Nonostante tutto Sarah continua a parlare in pubblico ed a lottare contro l’immobilismo che attanaglia la gente in Europa e nel mondo, richiamando alla responsabilità civile comune ad ogni essere umano per agire e lottare contro queste ingiustizie, contro la criminalizzazione degli operatori umanitari, contro l’indifferenza e l’ignoranza verso questa crisi di rifugiati che ha segnato per sempre quest’epoca. Sarah è convinta che sarà dichiarata innocente ed allora tornerà su quella spiaggia ad aiutare le persone.
La storia di queste due sorelle dovrebbe essere una testimonianza del fatto che non importa da dove si arrivi o da che cosa si scappi, qualunque sia il sogno che arde nei nostri cuori, bisogna rimanervi fedeli e perseguirlo sempre, perchè una ragazza in fuga dalla guerra può diventare un atleta olimpica, una ragazza in fuga dalla guerra può salvare centinaia di persone, due sorelle possono diventare eroine ed ispirare il mondo intero.
La cosa fondamentale è #rimanereumani e lottare, nel nostro piccolo, per i diritti umani di tutti.
Per usare le parole di Sarah Mardini:
Ci sono 150 casi come il mio nel mondo, persone criminalizzate per aver provato ad aiutare. Potreste essere voi i prossimi, per questo dovremmo tutti lottare. Se possiamo scendere in strada a milioni per il cambiamento climatico, possiamo farlo anche per i diritti dei rifugiati perché non è giusto lottare per una causa e trascurare le altre. E se non volete uscire dalla vostra comfort zone, se non volete scendere in strada, potete aiutare dal vostro PC.